lunedì 10 novembre 2008

LA CHIESA VALDESE E L'OMOSESSUALITA'

LA CHIESA VALDESE E L'OMOSESSUALITA'

La chiesa valdese e metodista di fronte all'omosessualità. Cosa è cambiato negli ultimi dieci anni?
Riflessioni di Gregorio Plescan, pastore valdese

Nell’ultimo decennio l’approccio della chiesa valdese e metodista all’universo omosessuale è cambiato. Ciò non è avvenuto in maniera particolarmente clamorosa, né uniforme, perché sicuramente ci sono anche nelle nostre comunità diversi “spazi di omofobia” ed è bene ricordarlo, per evitare che ci si illuda troppo di essere in un piccolo angolo di grande tolleranza, migliore dal mondo che ci circonda.
Il cambiamento più profondo è dato dal fatto che oggi, in molte comunità valdesi e metodiste, si può parlare apertamente della questione omosessualità, così come non è un tabù pensare, dire e scrivere che anche le coppie gay e lesbiche devono poter avere una qualche forma di riconoscimento della loro relazione da parte della chiesa.


Non è un percorso facile: in tutte le chiese si annida un certo conservatorismo e un certo moralismo, che non riguarda solo la sfera dell’affettività, ma che in realtà spesso fa in modo che il banco di prova della fede sia essenzialmente la camera da letto.
Poter parlare serenamente di omosessualità in chiesa significa anche accettare di rivelare in che modo e a che proposito ciascuno/a di noi è moralista e sollevare una questione difficile ma indispensabile, quella secondo cui l’amore ha molti modi di esprimersi e nessuno può dire quale se ce ne sia un unico ammissibile.

Il cambio di prospettiva rispetto all’omosessualità ha implicato un ripensamento che tocca almeno tre aspetti del nostro modo di pensare abituale: la lettura e l’interpretazione della Bibbia e della nostra storia.
Riguardo alla Bibbia si è posto (e si pone sempre di nuovo) la questione degli occhiali che si inforcano per leggerla. Spesso la Scrittura è stata considerata un “contenitore di ricette” da applicare alla realtà, anche quando i suoi approcci al mondo rispecchiano situazioni ormai molto lontane nel tempo e legate a condizioni sociali e politiche difficilmente comparabili alle nostre.
Dobbiamo insomma capire che “conformare la nostra vita alla Bibbia” non significa fingere di vivere al tempo di re Davide o di Gesù, ma piuttosto fare lo sforzo per accostare le situazioni di chi parla la Bibbia a quelle che noi sperimentiamo.

Uno sforzo reale, perché ci costringe al confronto, all’ascolto e ad ammettere che la “verità” va cercata giorno per giorno e non possiamo pretendere che ci sia stata rivelata una volta per tutte. Operazione questa impegnativa ma utile per affrontare anche altre sfaccettature del rapporto fede e vita, non solo quelle etiche.

Il rapporto con la storia è altrettanto delicato e non così facile da capire per chi non è valdese. Come tutti i gruppi, anche i valdesi hanno una “mitologia collettiva”, un’immagine di sé stessi che è molto più solida di quanto si possa immaginare: la storia dei valdesi, così dolorosamente segnata da guerre e persecuzioni, ha fatto in modo che spesso le qualità dei personaggi di riferimento fossero la fermezza virile degli eroi e la femminilità tradizionale delle eroine.
Non è facile quindi per tutti, immaginare che alcuni personaggi storici di riferimento fossero gay e vivessero la loro omosessualità nel buio, con angoscia e vergogna: fino a pochi anni fa ad esempio un libro sul metodista Jacopo Lombardini, morto martire in un Lager tedesco perché militante antifascista, faceva un giro di parole incredibile per dire e non dire che forse era gay.
Parlare di omosessualità vuole in pratica dire che anche il fratello o la sorella possono essere omosessuali senza che ciò costituisca un problema o che sia seguito da un “sì, ma…”.

Le chiese tendono a presentare sé stesse come entità neutrali e sopra le parti, ma in realtà i rapporti che vi si instaurano sono spesso lo specchio dei valori e dei disvalori della società in chi esse si muovono. Nella nostra tradizione, come per altro in molte altre italiane, vi sono indubbiamente delle incrostazioni patriarcali e un determinato modo di pensare ai rapporti tra le persone è basato da una serie di leggi non scritte ma vincolanti.
Aprirsi a discussioni franche sull’omosessualità significa anche accettare che vi siano modi diversi di vivere alcuni spezzoni della propria esistenza, in cui alcuni si può scoprire che vi sono dei modi di essere e di agire indicibili che invece posso essere ripensati.

Questo è un cammino, per ora, soprattutto iniziato e non compiuto. Il giorno in cui impareremo a pensare agli altri come a persone che Dio ha amato e per cui Gesù è morto sulla croce – senza pregiudizi di vario genere – deve ancora arrivare.

Ma, come i discepoli di Emmaus del Vangelo di Luca, siamo tutti e tutte per via!




* Gregorio Plescan è pastore della chiesa valdese e metodista di Venezia e Mestre. Ha pubblicato "Domande sul diavolo. Che ne dice la Bibbia?" (Claudiana,1994), "Vivere la Bibbia. Simulazioni bibliche" (Società Biblica Britannica, 1997), "Inferno-purgatorio-paradiso" (Claudiana, 2000). Collabora, da tempo, al progetto Gionata.





http://www.gionata.org/chiese-e-omosessualit/approfondimenti/la-chiesa-valdese-e-metodista-di-fronte-allomosessualit-.-cosa-cambiato-negli-ultimi-dieci-anni.html

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