lunedì 10 novembre 2008

La chiesa e il popolo ebreo: una relazione originale

La chiesa e il popolo ebreo: una relazione originale

« Gesù è ebreo, e Io è per sempre» (111,12). (Le citazioni con cifre romane si riferiscono ai paragrafi del documento.) Fra tutte le affermazioni contenute nel testo, questa è forse la più pregna di conseguenze: conviene pertanto porla a capo di questo commento. E' una tale affermazione, infatti, ad illuminare il fondamento della relazione unica ed originale che unisce la Chiesa al popolo d'Israele.* (Le parole contrassegnate da questo segno sono oggetto d'una breve spiegazione nel Piccolo Lessico)

Dire che Gesù è ebreo, trascende di molto la semplice indicazione della sua origine etnica. Se sotto molti aspetti il popolo ebreo è un popolo come gli altri, fin dalle origini lo segna un destino unico: quello di esser stato costituito e scelto da Dio per essere portatore della rivelazione e contraente dell'Alleanza. Rivelandosi a lui, Dio manifesta in pari tempo ciò che attende dall'uomo, la cui vocazione consiste nel conformarsi all'immagine di Dio: « Siate santi perché io, vostro Dio, sono santo» (Lev. 19,2). Accettando di rispondere all'appello rivoltogli da Dio attraverso il suo popolo, l'ebreo diviene, pel fatto stesso, qualcuno che si impegna a vivere secondo la Parola di Dio ed a realizzare così il suo progetto sull'uomo. In tale senso, Gesù, per noi, non è soltanto un ebreo fra gli altri ebrei: è Colui nel quale si realizza ciò che Dio attende dal suo popolo. Dire che Gesù è ebreo, ci porta quindi molto oltre un semplice dato documentario sul suo luogo d'origine e sulla sua lingua materna, per quanto importanti possano essere tali indicazioni: indica quali forme abbiano assunte, in un determinato popolo, la sua personalità e la sua missione. L'ebraismo, per Gesù, non é un elemento accidentale, ma un carattere fondamentale del suo stesso essere.

Per questo il testo afferma che « Gesù è ebreo per sempre ». Il che significa, in primo luogo, che Gesù non è un « convertito ». Non ha mai abiurato il suo giudaismo, mai rinnegato in alcun modo né le proprie origini né il proprio passato. Ma significa pure che Gesù risorto rimane ebreo. Lungi dal cancellare ciò che è stato, la risurrezione lo glorifica e lo rende eterno. Senza dubbio, la risurrezione è una liberazione, affrancando l'uomo da tutto ciò che lo racchiude, liberandolo da ogni limite e da ogni angustia: ma non abolisce le caratteristiche particolari (da non confondere particolarità con particolarismo!) che distinguono una personalità. Nella risurrezione, la persona sussiste con tutte le sue componenti essenziali. Gesù risorto rimane un uomo, nel quale la Chiesa riconosce il suo Sposo. Rimane un essere corporeo — anche se la nostra fantasia deve guardarsi da ogni speculazione sulle proprietà del « corpo spirituale » (1 Cor 15.44).

E ciò é tanto più vero del suo essere ebreo che il termine esprime non solo il suo inserimento fisico ma, al tempo stesso, il suo posto nel piano di Dio. Louis Bouyer non esita a scrivere: « La Chiesa (...) è il Corpo di Cristo: ma questo Corpo, in cui ogni eucaristia l'inserisce sempre più profondamente, è il Corpo di un ebreo... » (Louis Bouyer: L'Eglise de Dieu, éd. du Cerf, Paris 1970, p. 644)

Così la Chiesa si trova legata, per natura e per l'eternità, all'ebreo Gesù e, per suo mezzo, a tutto i! suo popolo. Da un ebreo, in cui vede realizzarsi il progetto di Dio, riceve in permanenza la sua stessa vita. E' dunque nella medesima persona del Risorto che la Chiesa incontra il giudaismo: ragion per cui il documento si appropria l'affermazione di Giovanni Paolo « La Chiesa ed Israele sono legati al livello stesso della loro ide.tità » (1,2). A sua volta, il Cardinale Etchegaray scrive: La perennità del popolo ebreo non pone solo il problema di relazioni esterne da migliorare: è un problema interno alla Chiesa, inerente alla sua stessa definizione»(Intervento al Sinodo romano sulla riconciliazione. 4-X-1983.) Affermazioni del genere derivano direttamente dal documento conciliare « Nostra Aetate» — la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane —, il cui paragrafo relativo agli ebrei inizia con queste parole: « Scrutando il mistero della Chiesa, il Sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo ». Non già rivolgendo lo sguardo al di fuori, ma riflettendo su se stessa, la Chiesa incontra il giudaismo. La sua relazione col popolo ebreo comporta dunque un elemento unico, che non si riscontra nei suoi rapporti con nessun'altra religione.

La comunanza d'eredità biblica e liturgica, su cui il testo giustamente insiste, non basta da sola a render conto di questa relazione privilegiata, di cui è solo la conseguenza. Il vincolo col popolo d'Israele fa parte della stessa identità cristiana. Per questo, nel 1974, la Commissione Romana per le relazioni religiose con il giudaismo scriveva: « Il problema dei rapporti fra ebrei e cristiani riguarda la Chiesa come tale, poiché "è scrutando il proprio mistero" che essa fronteggia il mistero d'Israele. Tale problema conserva dunque tutta la sua importanza anche in quelle regioni in cui non esistono comunità ebraiche» (Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione Nostra Aetate) La stessa Commissione riprende oggi questa affermazione, traendone le conseguenze che vi sono implicate: In considerazione dei rapporti unici esistenti tra il cristianesimo e l'ebraismo, "legati a livello della loro stessa identità", "rapporti fondati sul disegno del Dio dell'Alleanza", gli ebrei e l'ebraismo non dovrebbero occupare un posto occasionale e marginale nella catechesi e nella predicazione, ma la loro indispensabile presenza dev'esservi organicamente integrata n (1,21 Si tratta di una « preoccupazione pastorale » (1,3), perché la conoscenza dell'ebraismo vivente « può aiutare a comprendere meglio alcuni aspetti della vita della Chiesa. "



http://www.sidic.org/it/sussidi/sussidi1985_5.asp

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