lunedì 10 novembre 2008

CROCIATA VATICANA NELL’ASIA POST-SOVIETICA

CROCIATA VATICANA NELL’ASIA POST-SOVIETICA

Martedì, 21 Ottobre 2008 - 13:30 -
di Giuseppe Zaccagni
Non è una crociata, ma è pur sempre un intervento di “proselitismo”, in grande stile, che segna comunque uno degli aspetti del confronto fra il Vaticano e l’Oriente musulmano. Perchè ora sul tavolo della diplomazia d’Oltretevere – dopo le incursioni a Mosca di alcuni alti esponenti della Chiesa di Roma - ci sono ampi dossier relativi alle aree dell’ex Unione Sovietica: dal Kasachstan all’Usbekistan, dalla Kirghisija al Tagikistan e Turkmenia. E questo vuol dire che il papa tedesco – rappresentante di una parte della memoria e della coscienza culturale dell'Occidente - sta approntando un piano di “attacco” di portata eurasiatica che va da Mosca alle capitali delle cinque repubbliche.

Si tratta di un ambizioso progetto che si sforza, in una dimensione di religione globale, di cogliere, al di là degli avvenimenti contingenti e dell'impatto storico, le implicazioni “culturali” delle relazioni tra oriente e occidente, collocandole nella più ampia prospettiva della mutata bilancia del potere seguìta al crollo dell’Unione Sovietica che aveva codificato l’ateismo di stato. Il Vaticano, visti anche i cambiamenti che si registrano all'interno della società cristiana e musulmana, muove le sue forze anche per “glorificare antichi equilibri sociali". E si impone così all’attenzione del mondo “eurasiatico” una ideologia “vaticana” che era sembrata completamente estranea all’Asia (ex) sovietica perchè non aveva mai interferito, se non marginalmente, nello sviluppo dell'Islam di Stato.

L’obiettivo della Chiesa di Roma consiste ora nel giungere a una sempre più concreta normalizzazione dei rapporti con le realtà asiatiche ex-sovietiche. Per chiudere questioni che si trascinano da decenni, rese spesso più gravi dalla complessità delle tante implicazioni, prescindendo dai regimi interni e dai loro orientamenti politici e religiosi. Prende così il via una crociata “romano-asiatica” che non dovrebbe avere aspetti ideologico-religiosi capaci di deformare le tante realtà eurasiatiche.

La Chiesa di Roma parte alla “scoperta” del Kasachstan per esaminare e approfondire – con l’ausilio dell’arcivescovo Tomash Peta, presidente dei vescovi di Astana, la nuova capitale che ha sostituito Taskhent – il dialogo tra le religioni e la secolarizzazione ereditata dall'ex impero sovietico. Sono queste, infatti, le sfide principali che la chiesa locale deve affrontare con l’obiettivo di superare la transizione tra l’epoca sovietica e quella attuale. In questo contesto va ricordato che il Kasachstan ha ottenuto l’indipendenza e la sovranità dal momento che nel 1991 “lasciò” l’Unione Sovietica.

Da quell’anno il paese – con una legge annunciata nel 1992 – ha goduto di una prima libertà di religione. Ma col passare del tempo questi primi passi di liberalizzazione sono stati messi in discussione. C’è ora in Parlamento un nuovo progetto di legge in materia di libertà religiosa e tutto sta a dimostrare che non si dovrebbe tornare indietro quanto a libertà di religione e di coscienza. Tanto più che il Kasachstan ha instaurato relazioni diplomatiche con il Vaticano ed è stata anche aperta la nunziatura apostolica con tutte le strutture ecclesiali (diocesi, metropolie e conferenza episcopale) che si occupano dei 200.000 credenti.

Altro campo di intervento per la crociata vaticana è l’Usbekistan, un'area vastissima che abbraccia antiche civiltà e religioni molto diverse fra loro che vivono ancora in un mosaico di razze e popoli di origini diverse. E qui va sempre ricordato che la giusta dimensione interpretativa è sempre più planetaria. La Chiesa cattolica romana, in questo contesto, si trova anche a fare i conti con una serie di pesanti limiti imposti dalle autorità governative che rispettano praticamente solo le attività dei musulmani.

“La Chiesa cattolica – dice il vescovo Jerzy Maculewicz, amministratore apostolico dell'Usbekistan - è una comunità molto piccola che, raggruppata attorno a cinque parrocchie, subisce le conseguenze del fenomeno dell'emigrazione, in quanto molti cattolici lasciano il Paese per motivi economici”. Ecco quindi, che il piccolo Vaticano usbeko si avvale in loco dell’aiuto dell’Ordine dei francescani e delle suore dell’Ordine di “Madre Teresa di Calcutta”. Ma i veri problemi la Chiesa di Roma li incontra sul terreno dell’evangelizzazione perché nel Paese è in vigore una legge che vieta ogni attività esterna alla Chiesa. Le uniche occasioni di contatto – rivela il vescovo – sono quelle che si registrano nella cattedrale di Samarcanda quando arrivano i turisti oppure durante i concerti d’organo che la Chiesa organizza in varie località.

Ai problemi che il Vaticano incontra in questa regione asiatica si aggiungono quelli ben più grandi della Kirghisia. Qui c’è una minoranza cattolica che vive in mezzo a un Paese che è a netta maggioranza musulmana (80%). E precisamente una popolazione composta per lo più da immigrati di lontana origine tedesca. A guidare questa pattuglia di credenti è il vescovo locale Nikolaus Messmer. Il quale punta subito a ricordare alla stampa che “all’epoca dell'Unione Sovietica tutto veniva controllato dal partito comunista. I cattolici avevano allora poche possibilità di condurre una vita religiosa, e per non perdere quelle poche opportunità erano molto riservati e c'erano pochi contatti con le altre religioni. Poi, negli anni Ottanta, è iniziata una forte emigrazione da parte della popolazione di origine tedesca, e quindi anche dei cattolici. Anche i rapporti inter-religiosi sono più che mai difficili. Abbiamo poche possibilità di mantenere relazioni con le altre religioni. Con gli ortodossi e i musulmani è molto difficile stabilire contatti significativi. E l’unica eccezione sono forse i luterani”.

La campagna eurasiatica del Vaticano quindi è ancora in salita. Si aprono intanto anche quei capitoli che riguarderanno il Tagikistan e la Turkmenia, paesi a maggioranza musulmana-sunnita. E il problema per la Chiesa romana sarà quello di riuscir a contrapporsi a quei movimenti di rinascita islamica che sono tutti in versione integralista e estremista. Il pericolo è che si possano riaprire alcune delle pagine più complesse di una storia che si credeva superata e chiusa. Ed anche quel piccolo mondo vaticano, rinchiuso nell’area dell’Asia ex-sovietica, si troverà coinvolto nella nuova crociata lanciata dall’Oltretevere. Si tratterà ora di capire quale sarà la “strategia” che la diplomazia di Ratzinger vorrà mettere in campo in aree dove gli antichi conflitti religiosi e geopolitici sono sempre vivi.



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