lunedì 9 marzo 2009

“Cristo è maggiore di Gesù, di Vito Mancuso”

“Cristo è maggiore di Gesù, di Vito Mancuso”



Critica evoluzionista all’ultimo libro di Augias&Cacitti, con postilla sulla verità che è maggiore della storia

Non sarebbe difficile opporre un sostenuto fuoco di sbarramento all’ultimo libro di Corrado Augias, scritto insieme allo storico Remo Cacitti. Partiamo dall’incipit di Augias: “Gesù non ha mai detto di voler fondare una religione”. Come spiegare allora il suo ripetuto contrapporre in Matteo 5 “avete inteso che fu detto… ma io vi dico”, laddove il fu detto si riferisce alla religione ebraica e l’io vi dico al suo nuovo insegnamento? Ancora Augias: “Gesù non ha mai detto di voler fondare una Chiesa”. Come spiegare allora il “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Matteo 16,18)? Ancora: “Mai ha detto di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamo ed Eva”. Come spiegare allora quando dice di “essere venuto per dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,45) e quando nell’ultima cena pronuncia sul calice le note parole “questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” (Matteo 26,28)? Ancora: “Mai ha detto di essere unica e indistinta sostanza con suo padre, Dio in persona”. Come spiegare allora “io e il Padre siamo una sola cosa” (Giovanni 10,30) o anche “io sono nel Padre e il Padre è in me” (Giovanni 14,10)? Ancora: “Gesù non ha mai dato al battesimo un particolare valore”. Come spiegare allora “se uno non è generato da acqua e da spirito non può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3,5)? Ancora: “Non ha mai istituito una gerarchia ecclesiastica finché fu in vita”. Come spiegare allora la vera e propria struttura piramidale data da folla, 72 discepoli, 12 apostoli, 3 apostoli più vicini (Pietro, Giacomo, Giovanni), infine il solo Pietro (“a te darò le chiavi del regno dei cieli”, da cui la popolare immagine di san Pietro portinaio del paradiso)? Ancora: “Mai ha parlato di precetti, norme”. Come spiegare allora il testo menzionato dallo stesso Augias “non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti, non sono venuto ad abolire ma a dare compimento”, che poi continua: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, sarà considerato minimo nel regno dei cieli” (Matteo 5,17 e 19)?

Un tale fuoco di sbarramento, prodotto qui per le prime dieci righe di Augias (a parte l’affermazione “non ha mai detto di essere nato da una vergine che lo aveva concepito per intervento di un dio”, cui è obiettivamente impossibile contrapporre una frase di Gesù o a lui attribuita), potrebbe continuare per i testi di Cacitti. Due esempi al riguardo: 1) non è vero quanto affermato a pag. 213, cioè che “nei lezionari il testo dell’Apocalisse di Giovanni non compare mai”, si veda come esempio del contrario la prima lettura della messa di Tutti i Santi; 2) è altrettanto inesatto dire che il documento del Vaticano II che apre alla libertà religiosa sia la Nostra aetate, come si legge a pag. 246, perché il documento conciliare al proposito è la Dignitatis humanae (la Nostra aetate si occupa delle religioni non cristiane, come mostra di sapere bene Augias nell’intervento successivo). Sono due piccole inesattezze che a mio avviso svelano una determinata impostazione concettuale, quale si riflette sia nella valutazione dell’apocalittica (la cui scomparsa per Cacitti è un male da attribuire alla Chiesa post-costantiniana) sia nella valutazione dell’attuale pontificato, interpretato come “restaurazione confessionale” che minaccia la libertà religiosa (si può essere d’accordo su qualche aspetto di restaurazione, ma non si può onestamente negare a Benedetto XVI una continua e decisa azione a favore della libertà religiosa).

Tale fuoco di sbarramento però lo ritengo un’operazione sostanzialmente inutile, che non farebbe che riproporre uno scontro che dura da tempo senza che il pensiero proceda anche solo di un po’. Dietro le affermazioni di Augias riportate sopra vi sono infatti decenni di studi e di pubblicazioni specialistiche nel campo biblico, che Augias divulga con l’efficacia a tutti nota. Non è lui, sono autorevoli esegeti e teologi a sostenere che Gesù non volle fondare una nuova religione, né una Chiesa, né una morale, né una liturgia, e a separare nettamente sulla base di accurati studi il “Gesù della storia” (Yehoshua ben Yosef) dal “Cristo della fede” (la seconda persona della Trinità), ritenendo quest’ultimo una costruzione successiva, e illegittima, della Chiesa. È la medesima prospettiva sostenuta da Remo Cacitti: “Condivido la tesi che Gesù non avesse intenzione di fondare una Chiesa, tanto meno una religione diversa dal giudaismo da lui professato” (pag. 152), sicché “Paolo può essere considerato il vero fondatore del cristianesimo” (pag. 46). Il che significa che ovviamente non sarebbe difficile, per Augias, Cacitti e in genere i sostenitori della prospettiva che io chiamo “separazionista”, contrapporre ai testi da me citati sopra (ritenuti tardive aggiunte della comunità) altri testi evangelici considerati ben più originari, i soli autentici ipsissima verba Jesu. Questo è lo stato dell’arte, e non c’è nessuna possibilità di chiarirsi veramente le idee se si rimane al livello della critica storica e letteraria: tra le migliaia di versetti biblici ciascuno si sceglie quelli che più gli fanno comodo e li interpreta in conformità alle sue tesi. La frammentazione odierna del mondo protestante, di quel cristianesimo che a partire da Lutero ha voluto basarsi sulla sola Scrittura, è sotto gli occhi di tutti a palese dimostrazione dell’incapacità della Bibbia di produrre interpretazioni unitarie e unificanti.

In questa prospettiva il mio vero disaccordo con Augias, per stare sempre alla prima efficacissima pagina del libro, consiste nel fatto che ha presentato le sue affermazioni su Gesù come “incontestabili verità”, mentre si tratta solo di tesi certamente documentate ma quanto mai contestabili, e in effetti contestate da parte di esegeti e teologi autorevoli tanto quanto lo sono quelli sui quali Augias basa le sue argomentazioni. E sempre a proposito di forzature, mi sembra che siano definibili come tali anche le parole che Cacitti riserva al libro su Gesù di Joseph Ratzinger, dove si sostiene ovviamente la piena corrispondenza tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Di tale libro infatti Cacitti afferma che “basta leggerne l’introduzione” per capire che “l’obiettivo dichiarato del saggio è di tornare molto indietro, a prima degli studi storico-critici su Gesù”, per poi liquidarlo come “un esercizio mistico o forse spiritualistico” (pag. 39). Mi permetto di osservare, per amore di verità e senza il minimo desiderio di far parte della folta schiera degli apologeti di palazzo, due cose: 1) che l’obiettivo del testo papale non è tornare indietro ma procedere oltre gli studi storico-critici, avendo preso atto dell’impasse a cui ha condotto l’analitica ricerca storico-critica, cioè a quella “discussione continua e senza fine della storia delle tradizioni e delle redazioni” di cui parla uno dei più importanti esegeti del ‘900, Rudolf Schnackenburg, e di cui il conflitto di testi biblici presentato sopra è un piccolissimo saggio; 2) che come la storiografia ha un suo statuto epistemologico che va capito e rispettato, allo stesso modo ce l’ha la teologia cui il lavoro di Joseph Ratzinger appartiene, che non è serio definire “esercizio mistico o forse spiritualistico”. Sono cose del resto che lo stesso Cacitti dimostra di sapere bene, come quando a pag. 33 riconosce che vi sono esperienze non misurabili storicamente senza che ciò significhi “che esse non abbiano consistenza” perché “ce l’hanno su un altro piano”. Ma allora perché denigrare questo “altro piano” come “spiritualistico” qualche pagina dopo? Solo perché si tratta del libro di un papa che Cacitti dimostra di non amare particolarmente?

Ma al di là di questi dettagli, a mio avviso riconducibili alle passioni umane sempre comunque all’opera, io ritengo la lettura di questo libro quanto mai utile e consigliabile, sia a chi crede sia a chi no, perché mostra un’indubbia verità, ovvero che, per riprendere l’efficace sottotitolo, una religione “si costruisce”. Che il cristianesimo infatti lungo la storia si sia “costruito” è un dato di fatto, e del resto si tratta di una dinamica che vale per ogni altra realtà che abbia continuità storica, si consideri per esempio che “già due secoli dopo la morte del Buddha si contavano 18 versioni della Dottrina” (Giangiorgio Pasqualotto, Dieci lezioni sul buddhismo, Marsilio 2008, pag. 32). Molte cose tra i dogmi, la liturgia, i sacramenti, le norme morali, la struttura ecclesiale, che oggi sono parte del patrimonio cattolico, nel Nuovo Testamento non ci sono: il dogma della Trinità, la transustanziazione, il numero dei Sacramenti, il peccato originale originato, l’immacolata concezione di Maria, la sua assunzione in corpo e anima al cielo, l’origine dell’anima umana, il Purgatorio, per non parlare di gran parte dell’etica individuale e sociale. E viceversa nel Nuovo Testamento vi sono cose che nella Chiesa cattolica oggi non ci sono più: i presbiteri e i vescovi sposati, le diaconesse, la possibilità di opporsi apertamente al papa senza essere scomunicati o giù di lì, il velo che le donne devono portare in chiesa. È esattamente segno della vitalità di una dottrina il fatto di essere in continua evoluzione, perché l’evoluzione è la legge della vita, e ciò che non evolve, muore.

Il punto vero, piuttosto, è come valutare tale evoluzione che si trova alla base della costruzione del cristianesimo. Si tratta di un movimento legittimo o di un tradimento? Qui a mio parere si scontrano due valutazioni, entrambe parziali. La prima è quella del cattolicesimo tradizionale che legge l’evoluzione della dottrina e della morale in perfetta continuità con la fondazione originaria, una continuità così accentuata da aver negato per secoli ogni tipo di evoluzione. Ovvero: Gesù della storia = Cristo della fede = dottrina e prassi della Chiesa. Il che si traduce nell’assunto: seguire Gesù significa obbedire al papa e alla gerarchia che lo rispecchiano fedelmente, fin nei minimi dettagli.

Il secondo atteggiamento, direttamente contrapposto al primo, legge l’evoluzione della dottrina e della morale come inequivocabile tradimento della fondazione originaria, nel senso che tutto ciò che è assente nella lettera biblica è considerato venire solo dagli uomini e quindi come tale è impuro. Ovvero: Gesù della storia ≠ Cristo della fede ≠ dottrina e prassi della Chiesa. Il che si traduce nell’assunto, che può sembrare paradossale ma che opera inconsciamente più spesso di quanto si pensi: seguire davvero Gesù significa disobbedire al papa e alla gerarchia, che sono l’espressione del tradimento del messaggio originario.

Il punto di vista cattolico tradizionale, che io definisco “unitarista” in quanto sostiene l’unità perfetta tra Gesù-Cristo-Chiesa, è costretto a essere quasi costantemente sulla difensiva rispetto agli studi biblici e storici che evidenziano salti e discontinuità. Tipica è stata l’autoritaria repressione antimodernista di cento anni fa, condotta spesso in modo antievangelico e all’insegna dell’ignoranza, e bene ha fatto Cacitti a stigmatizzare l’enciclica Pascendi di Pio X e a tributare un doveroso omaggio a Ernesto Buonaiuti, anche perché il metodo storico-critico sostenuto dai modernisti e condannato cento anni fa dalle gerarchie vaticane è oggi insegnato in tutte le facoltà teologiche del mondo cattolico (la verità, alla fine, vince sempre). Tale forma mentis tradizionalista è ancora oggi molto ben rappresentata nella compagine cattolica, anzi concordo con Cacitti nel dire che è in ascesa.

Viceversa il punto di vista opposto, che io definisco “separazionista” in quanto separa Gesù dal Cristo e dalla Chiesa, non si capisce bene su che cosa voglia ultimamente basarsi. La “sola Scriptura” non porta da nessuna parte, perché tale mentalità letteralista giunge infine a separare tra loro gli stessi libri biblici, anzi, i versetti di uno stesso libro: iniziò Lutero separando Paolo da Giacomo (i quali effettivamente non andavano molto d’accordo visto che Giacomo dava dello “stolto” a Paolo, e Paolo rispondeva chiamando “cani” i seguaci di Giacomo) e ai nostri giorni si è finito per frammentare i vangeli distinguendovi detti di Gesù, detti della prima comunità, detti del redattore finale, ovviamente in modo diverso da interprete a interprete a seconda della teologia che governa la mente. A questo riguardo è curioso notare, per ritornare sempre al poderoso incipit del libro, che l’unico detto che Augias attribuisce a Gesù dopo averne negato una serie, cioè Matteo 5,17 (“non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti”) per Rudolf Bultmann “si rivela inautentico, una creazione della comunità” (Teologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1985, pag. 26). Si tratta di una situazione che affligge la teologia biblica da tempo, se duecento anni fa Hegel diceva: “In base alla Scrittura sono dimostrate esegeticamente opinioni opposte e la cosiddetta Sacra Scrittura è diventata un vaso di cera. Tutte le eresie hanno questo in comune con la Chiesa: l’appellarsi alla Sacra Scrittura” (Lezioni sulla filosofia della religione, vol. I, pag. 37).

Sia come sia, il concetto-cardine di tale linea storiografica, cui appartiene Cacitti e particolarmente gradita ad Augias, è all’insegna del tradimento: l’idea originaria di Gesù e dei primi cristiani era l’escatologia apocalittica come contrapposizione a questo mondo e attesa del regno di Dio, ma tale idea a partire dal quarto secolo è stata rinnegata dal cristianesimo che si è adattato al mondo vendendo la sua anima in cambio del potere. Così Cacitti sintetizza efficacemente il suo pensiero: “Non è stato Costantino a convertirsi al cristianesimo, quanto il cristianesimo a convertirsi a Costantino” (pag. 173). Visione che ha in Dante uno dei suoi più illustri sostenitori: “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!” (Inferno, XIX, 115-117).

Io non appartengo a nessuna delle due scuole, né a quella unitarista né a quella separazionista, ma sostengo una visione che definisco evoluzionista. Penso di poterne sintetizzare le linee essenziali con questa piccola formula: Cristo > Gesù, il cui testo evangelico di riferimento è il seguente: “Quando verrà lo spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera… prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Giovanni 16,13-14). Cristo è l’idea originaria dell’unità Dio-Uomo (“io e il Padre siamo una cosa sola”), idea sussistente ed eterna, e in quanto tale origine (arché), fine (telos) e governo (logos) del mondo, la quale si è manifestata nel suo vertice terrestre nella carne in Gesù di Nazaret, ma che Gesù di Nazaret con la sua concreta esistenza storica non esaurisce, e che ogni uomo è chiamato a realizzare in se stesso giungendo egli pure a dire “io e il Padre siamo una cosa sola”, compiendo così il senso della creazione che è la theiosis, la divinizzazione, prefigurata da san Paolo in 1 Corinzi 15,28 (“Dio tutto in tutti”). Sostenere che Cristo è maggiore di Gesù equivale a sostenere che la Verità è maggiore della storia. Ovvero: senza la storia non si giunge alla verità, ma la verità è sempre maggiore della storia, di ogni storia, necessariamente particolare, mentre la verità è, per definizione, universale.

Tale prospettiva evoluzionista permette, a differenza della scuola separazionista, di guardare alla storia del cristianesimo accettandone lo sviluppo storico, certamente non tutto positivo ma neppure tutto negativo, anzi sostanzialmente teso a un sempre maggiore arricchimento (io non sono per nulla sicuro che i primi cristiani, papi compresi, siano migliori degli attuali). Inoltre essa permette, a differenza della scuola unitarista, di non essere costretti a negare che lo sviluppo storico della dottrina e della prassi ecclesiale sia talora effettivamente discontinuo rispetto al Gesù storico e alla lettera dei libri biblici. Anzi la prospettiva evoluzionista giunge a poter riconoscere nello sviluppo storico, oltre a sanguinosi tradimenti del messaggio originario, anche dei reali progressi rispetto ad esso, come per esempio riguardo alla schiavitù, la condizione della donna, l’omosessualità, la guerra. Anche il fatto che, salvo eccezioni, i cristiani oggi non siano più in attesa della tromba del giudizio finale, non mi sembra, a differenza di Cacitti così affascinato dal dualismo escatologico (vedi pag. 268), costituire una perdita, ma solo, per riprendere il celebre titolo del saggio che François Furet dedicò al comunismo, “il passato di un’illusione”.

Pubblicato su Il Foglio, 14 settembre 2008



http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/09/18/cristo-e-maggiore-di-gesu-di-vito-mancuso/

Nessun commento: